Iniziavo a vedere la città colorata un po’ troppo sbiadita, i colori erano sempre meno vividi ogni settimana che passava.
Poi però ho ripreso coscienza, ho capito che sono i propri occhi a percepire la saturazione che ci circonda, dovevo fare qualcosa, doveva succedere qualcosa.
La sera quando spegni la luce prima di andare a dormire sai esattamente cosa c’è attorno a te, riesci a muoverti nel buio, e io dovevo imparare nuovamente ad orientarmi nel buio.
Quello che è successo in questo ultimo periodo non è facile da raccontare, anche perché dovrò rimanere sul vago.
Nei quattro anni di Milano ogni giorno ho avuto modo di vivere storie differenti, sempre con gli stessi protagonisti.
Un po come se stessi partecipando ad un reboot di una serie tv in loop ogni giorno.
Giorno dopo giorno ho imparato a conoscere le caratteristiche positive degli altri, inevitabilmente col tempo anche quelle negative sono venute a galla.
Ho imparato a conoscere i miei limiti e l ho imparato anche che tutto si trasforma.
Esattamente come i rapporti interpersonali lavorativi che ho iniziato a vivere in maniera più spontanea dal terzo anno in poi.
All’inizio non è stata una passeggiata ritagliarmi il mio spazio, la mia posizione vicina al capo è sempre stata scomoda, più o meno vincolante, con pochi pro e molti contro.
Mi son trovato bene grosso modo con tutti i colleghi, ma tra loro ce ne sono due che più di tutti hanno avuto una forte influenza sul mio essere. S. e G. sono due persone così diverse tra loro, la loro storia è ciò che rispettivamente vorresti e non vorresti ti accadesse.
Ma alla fine il risultato per entrambi è un carattere ammirevole, pieno di esperienze e con tanti esempi da trasmettere alle altre persone.
Col primo è stato subito un contrasto interiore di odio e amore, in questo mini mondo di ossessione per il tempo lui è stato il primo che in realtà del tempo se ne fregava, che vive la vita al massimo indipendentemente dall’orario.
Ho provato a cogliere qualcosa della sua professionalità, è un maestro in quello che fa. La sua presenza in azienda è stato un forte stimolo, tanto che in poco tempo mi ha portato a gettare la maschera insipida che avevo indossato. Negli anni precedenti mi son impegnato a non essere me stesso, e funzionava.
Ma cosa ne stavo ottenendo? Non c’era crescita, ed essere unicamente una pedina infondo mi stava stretto. Ho imparato che sul lavoro è giusto metterci passione. Qui ho fallito perché alla fine non era richiesta e non è mai stata apprezzata.
La seconda invece è arrivata molto dopo alcuni fatti negativi, avevo già provato ad andarmene, ero totalmente cambiato rispetto all’inizio, avevo già visto una serie di persone andare e venire, avevo capito come funzionava e iniziavo ad essere allibito dalle dinamiche che si creavano e dalla poca trasparenza e naturalezza dei rapporti, nonostante la realtà così piccola.
Con lei è stato amore a prima vista, quegli incontri che capisci fin da subito che non possono essere casuali. Già dalla prima conversazione ho capito che tutti i miei pensieri, nel caos più interiore, avevano un nome: Buddhismo. Lei è una donna forte, un esempio da seguire, una donna che combatte per i propri ideali e cerca di fare delle difficoltà che ha passato il suo punto di forza, un esempio indiscusso. Ed è lei che dentro e fuori l’azienda mi ha dato più di tutti.
Di risorse ottime questo posto ne ha avute, le possibilità c’erano tutte. Semplicemente io non ne ho mai percepito la valorizzazione personale. Quello che ha vinto in questa realtà è un modus operandi degno dei migliori film di psicologia, nient’altro. Il rapporto, formato da due persone (per carità), non ha funzionato.
La vita è strana, quando meno me l’aspettavo, un giorno mi arriva una chiamata da una conoscenza a me cara che mi propone un nuovo posto di lavoro, una nuova sfida, tutta videoludica, che fin da subito mi regala nuovi stimoli.
Ci penso e mi metto in gioco, alla fine la risposta è più ovvia che mai, accetto, mi lascio alle spalle quelle dinamiche assurde che mi hanno profondamente influenzato in negativo e cerco di guardare oltre.
Alla fine mi butto giù da quel muro che ho creato e scalato con tanta fatica, torno con i piedi per terra con un altro mattone in mano, pronto a riappoggiarne uno dopo l’altro nuovamente col fine di costruire qualcosa di migliore.
Ora vedo di nuovo a colori.
Invio, pubblico, chiudo.