La quantificazione del tempo. Quanto può essere produttiva e quanto può essere distruttiva?
Vivere in funzione di un orologio causa stress, ansia e malessere. Anche sicurezza e senso di appartenenza, senso di dovere.
Magari io che sono perennemente ritardatario sto cercando soltanto una scusa per i miei ritardi, magari anche no.
Sono giorni che mi interrogo -ancora- sugli aspetti più profondi dell’uomo, giungo alla conclusione che al centro di ognuno di noi ci sia della curiosità che necessita di essere nutrita, i bambini ne sono l’esempio concreto con i loro mille “Perché?”.
Com é possibile che l’uomo abbia perso -o represso- la sua natura esplorativa? Com’è possibile che possa averla ridotta a due settimane di ferie all’anno in cui corre alla scoperta del mondo?
La quantificazione del tempo è senza dubbio complice dell’incatenamento dell’uomo. Incatenamento alla propria routine, che usura col tempo ogni sentimento puro, ogni voglia di fare e di alimentare la propria creatività.
Io sono qui seduto ad un parco, trovo che stare l’aria aperta sia rinvigorente. Ascolto due famiglie che dialogano, si lamentano di quanto sia disagiante e privativo lavorare giorno e notte.
Leggo le persone che seguo continuare il loro viaggio alla scoperta del mondo, a piedi, senza catene o obblighi. Nei meandri del mio cervello mi domando quando arrivi il mio momento.
E guardo l’ora, il sole tramonta e le persone tornano a casa.
Taciturno prendo per mano la mia routine e me ne vado a casa anche io.
Invio, pubblico, chiudo.